Cassazione a Sezioni Unite, Sentenza n. 5633 del 21.02.2022
Artt. 615 e 617 c.p.c.; art. 2909 c.c. – La interpretazione del titolo esecutivo nell’ambito dei giudizi di opposizione all’esecuzione ovvero di opposizione agli atti esecutivi ed il sindacato di legittimità
La Cassazione a Sezioni Unite (Cass. n. 5633 del 2022 ha enunciato i seguenti principi di diritto:
«ove risulti denunciata la violazione dell’art. 2909 cod. civ. nei giudizi di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi con riferimento alla cosa giudicata corrispondente al titolo esecutivo giudiziale, la Corte di Cassazione ha il potere/dovere di interpretare il titolo esecutivo se il giudicato somministra il diritto sostanziale applicabile per l’accertamento del diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata o per l’accertamento della legittimità degli atti esecutivi»;
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ai fini della denuncia della violazione, nei giudizi di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, dell’art. 2909 cod. civ. con riferimento alla cosa giudicata corrispondente al titolo esecutivo giudiziale, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del ricorso, sia di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. del precetto sostanziale violato, nei cui limiti deve svolgersi il sindacato di legittimità, sia di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. della sede nel giudicato del precetto di cui si denuncia l’errata interpretazione e dell’eventuale elemento extratestuale, ritualmente acquisito nel giudizio di merito, che sia rilevante per l’interpretazione del giudicato».
La sentenza (1) interviene sul tema del sindacato della decisione con cui il giudice della causa di opposizione all’esecuzione ovvero di opposizione agli atti esecutivi definisce il giudizio interpretando il titolo esecutivo in virtù del quale il creditore ha esercitato l’azione esecutiva.
Per alcuni decenni la giurisprudenza ha affermato:
che il titolo esecutivo non può configurare un giudicato esterno rispetto al processo di esecuzione forzata ed ai giudizi di cognizione finalizzati a valutarne la regolarità formale o sostanziale, nell’ambito delle opposizioni esecutive; dovendosi piuttosto configurare come un fatto estrinseco che contiene il comando da attuare;
che, interpretando il titolo esecutivo, il giudice compie un accertamento in fatto sindacabile solo per vizio di motivazione;
che, laddove debba essere impugnata in sede di legittimità una sentenza che definisce un giudizio di opposizione all’esecuzione ovvero di opposizione agli atti esecutivi in virtù della interpretazione del titolo esecutivo, la censura finalizzata a denunciare l’erroneità della predetta interpretazione, può essere svolta solo denunciando il vizio di motivazione (ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.).
Con la sentenza indicata in epigrafe il quadro interpretativo è, però, parzialmente stravolto.
Restano fermi i principi che si sono richiamati con riguardo alle sole ipotesi in cui l’azione esecutiva sia fondata su un titolo stragiudiziale ovvero su un titolo giudiziale non ancora passato in giudicato.
La situazione si atteggia, invece, in termini diversi se il titolo esecutivo è costituito da un provvedimento giudiziale passato in giudicato.
Secondo le Sezioni Unite, invero, il giudicato reca la legge del caso concreto ovvero il diritto sostanziale di cui il giudice dell’opposizione deve fare applicazione per dirimere la controversia.
La violazione della legge del caso concreto è, pertanto, denunciabile in sede di legittimità prospettando la violazione dell’art. 2909 c.c..
La peculiare natura del valore giuridico corrispondente al giudicato («legge del caso concreto») fonda così, nell’ipotesi in cui si censuri il provvedimento di merito per la violazione dell’art. 2909 c.c., il potere/dovere del giudice di legittimità di interpretare direttamente il titolo esecutivo corrispondente al giudicato se quest’ultimo fornisce la regola giuridica al fine dell’accertamento del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata o della o esecutivo.
La Procura generale della Corte di cassazione aveva chiesto di confermare integralmente l’orientamento tradizionale rassegnando, pertanto, conclusioni risultate difformi dalla decisione.
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